Nietzsche a Torino: la Mole, i portici, il labirinto

Torino ha avuto un grande impatto non solo sulla vita ma anche sulla filosofia di Nietzsche, uno dei più illustri TOlover della nostra città.

Nietzsche godeva di una pensione acquisita dopo un breve periodo di insegnamento a Basilea come professore di filologia classica. Una rendita che, grazie a una vita frugale, gli permetteva di potersi dedicare alle sue riflessioni filosofiche e alle sue opere. Soffriva però di fortissimi mal di testa, un malessere fisico che lo costringeva a spostarsi continuamente alla ricerca di un clima che lenisse i suoi mali. Questo vagabondare lo portò a Torino nel 1888. Qui si fermò, prima per due mesi – dal 5 aprile al 5 giugno – poi dal 21 settembre dello stesso anno fino al 9 gennaio del 1889, giorno in cui venne trasferito in un sanatorio a Basilea e successivamente in Germania dove rimase, sempre internato, fino alla morte.

A Torino Nietzsche prese in affitto una stanza al quarto piano di via Cesare Battisti, sopra l’ingresso della Galleria Subalpina, con vista su Palazzo Carignano. Un’effige in via Carlo Alberto 6 ce lo ricorda.

In un articolo de La Stampa Sera del 10 ottobre 1938 il nipote di Davide Fino, proprietario dell’alloggio presso cui Nietzsche risiedeva, ricorda un uomo elegante, in soprabito marrone, con l’inseparabile plaid sul braccio, alto, slanciato, con folti mustacchi che non tolgono al suo volto un aspetto di nobile bontà, si avvicina alla rivendita di giornali, gestita dal signor Davide Fino, dinnanzi al palazzo delle poste. L’uomo cerca una stanza per la sua permanenza in a Torino. Davide Fino dal chiosco del giornali gli indica in alto, su sotto i tetti, nella casa che fa angolo con la piazza e via Carlo Alberto, una finestra: la sesta, si, quella che è proprio sopra la Galleria e di rimpetto al Palazzo Carignano. Fa parte di un alloggio ove abita con la moglie, tre figli e una donna di servizio.

A casa Fino Nietzsche trovò un ambiente famigliare a cui man mano si affezionò tanto che quando venne forzatamente portato via a Basilea volle portare con sé la papalina del padrone di casa.

Anacleto Verrecchia ne “La catastrofe di Nietzsche a Torino” riporta la testimonianza diretta dei padroni di casa, tratta da un articolo apparso sulla «Nuova Antologia» del 16 settembre 1900:

“Il loro ospite aveva l’aspetto serio, ma era gentilissimo di modi con tutta la famiglia e specialmente colla piccola Irene che già sin d’allora coltivava con successo la musica, di cui Nietzsche era appassionatissimo. Il «professore», come lo chiamavano in casa, faceva una vita regolare e tranquilla di uomo studioso. Spesso portava o riceveva libri dalla libreria Loescher (ora Clausen), situata sotto i portici dell’università. Alcune volte pregava l’Irene di suonargli del Wagner — solo del Wagner; altre volte sedeva egli stesso al pianoforte, suonando lungamente a memoria del Wagner, unendogli di tratto in tratto un canto sommesso. Prendeva in casa i suoi pasti, ordinando per lo più una costoletta, che di rado mangiava, e una bottiglia di vino barbèra.”

Il filosofo si innamorò della nostra città, come testimoniano molti suoi testi. Due giorni dopo il suo arrivo scrisse:

” …città dignitosa e severa! Niente affatto grande città, niente affatto moderna come avevo temuto: ma una residenza del diciassettesimo secolo, dove su tutto era stato imposto un unico gusto, quello della Corte e della noblesse. Su ogni cosa è rimasta impressa una quiete aristocratica: non vi sono meschini sobborghi; un’unità di gusto persino nel colore (tutta la città è gialla o rosso-bruna). E’ un luogo classico anche per i piedi come per gli occhi! Che sicurezza, che pavimentazione”.

Torino è stato “ il primo postoin cui sono possibile!”, scrisse Nietzsche in una lettera a Heinrich Köselitz.

Il periodo torinese fu particolarmente profilico. Qui che scrisse i suoi libri definitivi: Il caso Wagner, Crepuscolo degli idoli,  L’anticristo, Ecce homo e Nietzsche contra Wagner.

Ma quali furono i motivi di questa passione per Torino?

Jörg H. Gleiter, professore di teoria dell’architettura presso l’Istituto di architettura dell’Università tecnica di Berlino, nel suo testo But Turin! Nietzsche’s Discovery of the City, espone una tesi interessante.

Innanzitutto durante il soggiorno a Torino, Nietzsche godette di una inconsueta buona salute: l’emicrania di cui si era lamentato per tanti anni scomparve e questo influì positivamente sul suo stato d’animo. Inoltre l’attrazione per la cultura francese e per Parigi lo portarono ad apprezzare Torino, la città italiana più vicina alla capitale francese, non solo geograficamente. Nel 1869, vent’anni prima del suo soggiorno torinese, dopo aver completato gli studi, Nietzsche e il suo amico Erwin Rohde, avevano programmato un soggiorno prolungato a Parigi. Come “una coppia di filosofi flaneur”, volevano “camminare con occhi seri e labbra sorridenti attraverso il fiume di Parigi”.   La nomina di Nietzsche come professore a Basilea pose fine a quel progetto. Forse anche per questo mancato viaggio giovanile il soggiorno Torino, i cui viali, la griglia quadrata, i passaggi, gli archi e gli edifici classici costituivano una serie di somiglianze con Parigi, fu così importante per il filosofo tedesco.

Negli ultimi mesi prima del crollo Nietzsche si era trasformato da passeggiatore montano dell’Alta Engadina a “flaneur filosofico” della metropoli moderna che aveva immaginato vent’anni anni prima.

“Mi sento così rilassato, così forte, così allegro” scrisse Nietzsche a Georg Brandes.

 “Ora sono l’uomo più grato del mondo […]. Tutto diventa facile per me. Tutto funziona per me.” scrisse a Overbeck.

Nietzsche in passato aveva trovato le sue ispirazioni filosofiche camminando nella natura aperta. Ora invece vagava tra i portici di Torino: “Ho bisogno di camminare 6-8 ore all’aria aperta”.

“Recentemente mi sono detto: avere un posto che non si vuole lasciare, nemmeno per andare in campagna – dove si è contenti di camminare per le strade ! Prima avrei pensato che fosse impossibile” scrisse a Heinrich Köselitz il 16 dicembre 1888.

Come Rousseau, altro grande filosofo amante del cammino, che soggiornò da giovane a Torino 160 anni prima: dalla primavera del 1728 all’inizio del 1729 (una permanenza di durata curiosamente simile a quella di Nietzsche). Anche lui fu incantato dalla città nella quale poteva concedersi la “speranza di diventare presto una persona degna di sé”.

Scrive Gleiter:

“Sarebbe un errore caratterizzare i mesi torinesi come punto finale della vita intellettuale di Nietzsche che culminò nei suoi folli gesti e crollò all’inizio di gennaio 1889. Il suo il tempo a Torino fu tutt’altro. Al contrario, sembra che negli ultimi mesi sia successo qualcosa che giustifichi con una certa legittimità considerare il periodo torinese non come un punto di arrivo ma piuttosto come una svolta. Questa fu la scoperta della polis da parte di Nietzsche, sebbene non nel senso classico, ellenistico, politico e filosofico. Fu la scoperta della metro-polis della fine IXX secolo: del modernismo. La scoperta della città da parte di Nietzsche avvenne sullo sfondo del suo allontanamento dalla musica come “arte a parte” del diciannovesimo secolo, verso l’architettura come “arte principale” del modernismo e delle sue avanguardie. A Torino, il potere seduttivo del modernismo “tedesco” di Wagner è stato sostituito da ciò che da tempo desiderava: la modernità francese. La scoperta della città moderna ha fatto da sfondo a questa triplice svolta dalla musica all’architettura, dal concetto di Volontà al potere al concetto di decadenza, e dai concetti intellettuali astratti alla fenomenologia corporea. Senza la scoperta della città moderna, molto degli ultimi mesi di Nietzsche sarebbe stato lasciato all’oscuro e la sua tarda filosofia sarebbe stata del tutto fraintesa.

Nel maggio 1888, l’architettura, che in precedenza non era stata oggetto d’attenzione, a Torino si spostò al centro dell’interesse filosofico di Nietzsche. All’epoca del suo arrivo a Torino, prediligeva l’alleanza tra la filosofia e la musica; al momento del suo ritorno a Torino da Sils-Maria, quell’autunno, l’architettura per Nietzsche aveva preso il posto della musica. In quest’ottica vanno lette le osservazioni su Torino nelle lettere di questo periodo.

“Che robustezza, che marciapiedi, per non parlare degli autobus e dei tram, la cui organizzazione qui rasenta il meraviglioso!”  Non aveva “in nessun altro luogo fatto passeggiate con un tale piacere come in queste strade eleganti e indescrivibilmente degne”. Nei mesi che seguirono non ci fu fine alla lode. Sotto i “magnifici e spaziosi portici, i colonnati e le sale” di Torino, che misurano 10.020 metri (cioè due ore buone di marcia),  si poteva camminare “per mezz’ora d’un fiato attraverso alte arcate” e “vedere le Alpi innevate dal centro della città, le strade che sembrano corrervi dentro! L’aria secca, sublimemente limpida. Non avrei mai creduto che la luce potesse rendere una città così bella.

Ecce homo e la Mole Antonelliana

La Mole Antonelliana ha svolto un ruolo non trascurabile in questa trasformazione.
Fu iniziata nel 1863 come sinagoga e originariamente doveva essere alta 47 metri. In seguito alla “spinta assoluta verso le altezze” di Alessandro Antonelli, fu inaugurata nel 1889. Poiché mancava di una funzione e di una tipologia chiara, non aveva alcun nome e continua a portare il nome del suo architetto: la Mole Antonelliana.

“Prima sono passato davanti alla Mole Antonelliana, forse l’opera architettonica più geniale mai realizzata – stranamente non ha nome – per una spinta assoluta verso le altezze – non ricorda niente quanto il mio Zarathustra. L’ho battezzato Ecce homo e con quello spirito gli mise attorno un enorme spazio libero” scrisse Nietzsche il 30 dicembre 1888 in una bozza di lettera a Köselitz. Nietzsche associò l’edificio alla figura di Zarathustra e lo chiamò Ecce homo dopo il libro autobiografico che aveva completato quell’autunno.

LA mole antonelliana


Poi, poco prima del suo crollo il 6 gennaio 1889, menzionò nuovamente l’edificio. Aveva partecipato al funerale di Antonelli, annotava nel poscritto di una lettera a Jacob Burckhardt: “Ero presente al funerale del vecchio Antonelli questo novembre. Ha vissuto fino a quando Ecce homo, il libro, non è stato finito. Il libro e anche la persona …”.



“Prima sono passato davanti alla Mole Antonelliana, forse l’opera architettonica più geniale mai realizzata – stranamente non ha nome – per una spinta assoluta verso le altezze – non ricorda niente quanto il mio Zarathustra. L’ho battezzato Ecce homo e con quello spirito gli mise attorno un enorme spazio libero” scrisse Nietzsche il 30 dicembre 1888 in una bozza di lettera a Köselitz. Nietzsche associò l’edificio alla figura di Zarathustra e lo chiamò Ecce homo dopo il libro autobiografico che aveva completato quell’autunno.

Poi, poco prima del suo crollo il 6 gennaio 1889, menzionò nuovamente l’edificio. Aveva partecipato al funerale di Antonelli, annotava nel poscritto di una lettera a Jacob Burckhardt: “Ero presente al funerale del vecchio Antonelli questo novembre. Ha vissuto fino a quando Ecce homo, il libro, non è stato finito. Il libro e anche la persona …”.

I portici come luogo ideale per la contemplazione.

A Torino consolida l’idea dell’incontro tra architettura e corpo umano, che era stata già delineata molto prima ne La gaia scienza:

Un giorno, e probabilmente presto, avremo bisogno di un riconoscimento di ciò che soprattutto manca nelle nostre grandi città: luoghi tranquilli e ampi, ampi per la riflessione. Luoghi con chiostri lunghi e dai soffitti alti per il tempo brutto o troppo soleggiato […] – edifici e siti che insieme darebbero espressione alla sublimità della premura e del farsi da parte. […] Vogliamo vedere noi stessi tradotto in pietra e le piante, vogliamo fare passeggiate in noi stessi, quando passeggiamo attorno a questi edifici e giardini.

Torino divenne il luogo in cui Nietzsche tornò alla sua nostalgia per la cultura francese. Torino era una Parigi in miniatura, meno splendida comunque un’ex sede reale con “piazze serie e solenni”. Come Parigi, la città era già un importante centro industriale, con tutti gli accessori di una metropoli moderna, anche se in scala ridotta: una città disposta su una griglia, archi, passaggi e viali con vaste prospettive. 5

Con la Mole Antonelliana come controparte in pietra della Torre Eiffel, Torino questa volta era anche in competizione diretta con Parigi. Tuttavia, come osservava Nietzsche, la quiete era “ancora la regola ” per le strade di Torino.  Sembra che la sua prima visione de La Gaia Scienza “luoghi tranquilli, ampi ed espansivi per la riflessione. Luoghi con chiostri lunghi e dai soffitti alti. ” si fosse realizzata in una città come Torino.

I chiostri a Torino si fanno portici, luoghi ideali per la contemplazione che, da religiosa, diventa secolare.

Il labirinto

Oltre ai portici, un altro elemento architettonico ha plasmato l’esperienza di Nietzsche della città come paesaggio urbano: il labirinto.     Il prerequisito per percepire la metropoli moderna come un labirinto è la sua struttura razionale.  I labirinti sono figure di estrema razionalità, in cui il percorso all’interno di una forma geometricamente esatta conduce al centro, senza offrire alternative. I labirinti sono l’opposto del caos: sono forme di ordine razionale accentuato. In Aurora , Nietzsche aveva già affrontato il labirinto:

Quanto erano semplici i greci nella loro concezione di sè! Quanto lontano li superiamo nella comprensione della natura umana! E come appaiono labirintiche anche le nostre anime e le nostre concezioni delle anime rispetto alle loro! Se noi [i moderni] desiderassimo e osassimo un’architettura corrispondente alla nostra concezione dell’anima (siamo troppo codardi per questo!) – allora il labirinto dovrebbe essere il nostro modello!

Per Walter Benjamin, la scoperta della città come labirinto non dipendeva affatto dalla difficoltà di orientarsi ma, al contrario, dalla loro nuova, moderna, chiara disposizione e razionalità.

Non orientarsi in una città non significa molto. Ma perdersi in una città, come ci si perde in una foresta, richiede un po’ di istruzione. I nomi delle strade devono parlare per il vagabondo urbano come lo spezzarsi di ramoscelli secchi e le stradine nel cuore della città devono riflettere i tempi della giornata, per lui, chiaramente come una valle di montagna.

La città come labirinto si apre solo a chi sa perdersi nel contatto fisico, negli scorci prospettici lungo i lunghi traguardi delle strade, nelle loro traverse e deviazioni, nelle ingannevoli scorciatoie dei portici. Il primo requisito è che durante le lunghe passeggiate il tempo si converta “in un narcotico”;  solo allora, “con l’aiuto di queste strade”,   la città si trasforma in testo e il corpo in uno strumento di conoscenza.

Non nelle città medievali, ma solo nella monotonia della struttura razionale delle metropoli il flaneur trasforma, con la “flessibilità del corpo”, la città nel labirinto. Torino, l’unica delle città storiche d’Italia a cui manca un centro storico medievale, aveva la monotonia di strade così importanti per il flaneur, con un sistema a scacchiera di strade e lunghi assi che si ritiravano verso le montagne.

Giorgio de Chirico
«È stata Torino ad ispirarmi tutta una serie di quadri che ho dipinto dal 1912 al 1915. Confesso, in verità, che essi devono molto anche a Nietzsche».

I consigli di Nietzsche per un vagabondaggio da flaneur:

 “Non portare gli occhiali per strada! Non comprare libri! Non entrare in mezzo alla folla! ”

“Serate attraverso il Valentino al castello, poi di nuovo fino in fondo a piazza Vittorio Emanuele II e al Caffè Livorno”.    “Non scrivere lettere! Non leggere libri! porta qualcosa con te da leggere nel caffè ! Un quaderno per gli appunti”.

 Solo il collegamento alla propria fisicità, senza libri e ad una distanza dalla folla, offre l’accesso al subconscio. Per questo, il flaneur deve rimanere da solo, in una, come Nietzsche ha scritto in un altro contesto, “segregazione aristocratica dalle masse”.

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