Il Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso

Un viaggio nelle pieghe oscure dell’animo umano. Storia e cosa vedere in questo museo unico al mondo.

A San Salvario, tra le sobrie architetture del Palazzo degli Istituti Anatomici, si cela uno dei musei più controversi e affascinanti d’Europa. Il Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso rappresenta un unicum nel panorama museale mondiale, offrendo ai visitatori un’immersione nelle teorie criminologiche ottocentesche e, al contempo, una riflessione sui meccanismi di costruzione dell’alterità sociale. Inaugurato nel 2009, custodisce le collezioni che il medico veronese raccolse durante la sua permanenza torinese, trasformando quello che un tempo era considerato materiale scientifico in un laboratorio di riflessione sui pregiudizi e sulle dinamiche di esclusione sociale.

Origini e storia di una collezione singolare

La genesi di questa straordinaria raccolta affonda le sue radici nella Torino di fine Ottocento, quando Cesare Lombroso, giunto nella capitale sabauda nel 1876 per assumere la cattedra di Medicina Legale, iniziò sistematicamente a documentare quella che riteneva essere la natura criminale dell’essere umano. L’approdo torinese del criminologo rappresentò un momento cruciale nella sua carriera: a quarantun anni, già padre di famiglia e forte di esperienze formative tra Padova, Vienna e Pavia, Lombroso trovò nell’ambiente universitario torinese il terreno fertile per sviluppare le sue controverse teorie.

Il nucleo originario delle collezioni prese forma attorno al 1859, ma fu durante gli anni torinesi che la raccolta assunse dimensioni monumentali. Lombroso, con l’ausilio di una fitta rete di collaboratori distribuiti in Europa, America, Asia e Australia, accumulò migliaia di documenti, preparati anatomici e manufatti che oggi costituiscono il patrimonio del museo. La passione collezionistica del medico veronese si alimentava della convinzione che l’osservazione empirica potesse svelare i segreti della criminalità, trasformando ogni reperto in una tessera di un mosaico interpretativo dell’animo umano.

Il carattere sistematico di questa raccolta emerge dalla varietà dei materiali: preparati anatomici, maschere mortuarie, fotografie antropometriche, corpi di reato, scritti autobiografici e, particolarmente significative, le produzioni artistiche e artigianali realizzate da internati nei manicomi e nelle carceri. Quest’ultimo aspetto rivela una dimensione inaspettata dell’approccio lombrosiano, che riconosceva nelle espressioni creative dei reclusi una chiave di lettura privilegiata per comprendere la psiche deviante.

La visita al Museo Lombroso: tra suggestione e riflessione critica

L’allestimento attuale del museo, curato con particolare attenzione alla contestualizzazione storica, trasforma la visita in un’esperienza di rara intensità emotiva e intellettuale. Il percorso espositivo si snoda attraverso ambienti che ricostruiscono fedelmente l’atmosfera del museo storico, con vetrine d’epoca che conservano centinaia di reperti e grandi ritratti di criminali che ornano le pareti. Questa scelta curatoriale non è casuale: intende restituire al visitatore la percezione che i contemporanei di Lombroso avevano di queste teorie, oggi scientificamente superate ma storicamente significative.

L’approccio curatoriale adottato nel Museo Lombroso evita ogni forma di celebrazione acritica del personaggio storico, proponendo invece un percorso che evidenzia la problematicità delle teorie lombrosiane e le loro implicazioni sociali e politiche.

L’attività didattica del museo, sviluppata in stretta collaborazione con insegnanti e associazioni, si propone di utilizzare le collezioni lombrosiane come punto di partenza per discussioni più ampie sui temi della diversità, della marginalità sociale e dei diritti umani. Questa prospettiva pedagogica trasforma il museo in uno spazio di elaborazione collettiva della memoria, dove il confronto con un passato problematico diventa occasione di crescita civile e di educazione alla cittadinanza.

La rilevanza contemporanea del museo emerge con particolare evidenza nel dibattito sui sistemi di riconoscimento facciale e sulle tecnologie di controllo sociale. Le fotografie antropometriche della collezione lombrosiana anticipano, in forme primitive ma concettualmente affini, le problematiche etiche sollevate dall’uso delle tecnologie biometriche nella società contemporanea. Questa continuità tematica conferisce al museo una valenza che trascende l’interesse puramente storico, trasformandolo in un osservatorio privilegiato sui rapporti tra scienza, tecnologia e potere.

Cosa vedere al Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso

Lo Scheletro del Maestro: l’autorappresentazione estrema

L’ingresso nella sala centrale del museo riserva ai visitatori un incontro con il suo fondatore: lo scheletro di Cesare Lombroso stesso, esposto secondo le sue volontà testamentarie, accoglie silenziosamente chiunque varchi la soglia di questo tempio della devianza. Quest’opera di auto-documentazione scientifica rappresenta un gesto di coerenza intellettuale. Curiosamente, nello stesso palazzo troviamo lo scheletro di un altro fondatore di un museo: Luigi Rolando, padre del Museo di Anatomia, a testimonianza di come la scienza ottocentesca abbia spesso trasformato i suoi protagonisti in oggetti di studio, intrecciando biografia e ricerca in modo indissolubile.

I mobili di Eugenio Lenzi

Tra le opere più sorprendenti e toccanti della collezione spiccano i mobili realizzati da Eugenio Lenzi, recluso nel manicomio di Lucca, che rappresentano una delle testimonianze più eloquenti della creatività umana che fiorisce anche nelle condizioni di maggiore restrizione. Questi oggetti, caratterizzati da una raffinatezza tecnica e un’eleganza compositiva che sfidano ogni stereotipo sulla produzione artistica manicomiale, costituiscono una delle sezioni più affascinanti dell’intero percorso espositivo.

La maestria artigianale di Lenzi emerge con particolare evidenza nei dettagli decorativi e nelle soluzioni tecniche adottate per la realizzazione di questi pezzi d’arredo. Ogni elemento rivela una padronanza delle tecniche ebanistiche che trascende largamente le competenze di un dilettante, suggerendo una formazione professionale pregressa o un talento naturale di eccezionale qualità. La precisione degli incastri, la sobrietà delle linee e l’equilibrio delle proporzioni conferiscono a questi mobili una dignità estetica che li eleva al rango di autentiche opere d’arte.

L’archivio dei volti: fotografie e ritratti della devianza

Una delle sezioni più impressionanti del museo è costituita dall’archivio fotografico e dai grandi ritratti di criminali che ornano le pareti della sala centrale, testimonianza del tentativo lombrosiano di codificare visivamente la devianza attraverso lo studio sistematico dei tratti somatici.

Le fotografie, realizzate seguendo rigidi protocolli antropometrici, rivelano oggi un valore documentario che trascende largamente le intenzioni originarie del loro creatore. Questi volti, fissati per l’eternità nell’obiettivo del fotografo ottocentesco, restituiscono al visitatore contemporaneo una galleria di umanità dolente che interroga i meccanismi di costruzione dello stigma sociale. L’esposizione di questi materiali fotografici solleva questioni etiche di particolare delicatezza, affrontate dal museo attraverso un articolato apparato critico che contestualizza storicamente le teorie lombrosiane evidenziandone i limiti scientifici.

I ritratti pittorici che completano questa sezione rivelano come anche la rappresentazione artistica fosse permeata dai pregiudizi scientifici del tempo, contribuendo alla costruzione di un immaginario visivo della devianza che avrebbe influenzato generazioni di osservatori.

Art Brut ante litteram: i disegni dei malati psichiatrici

L’archivio del museo conserva centinaia di disegni realizzati da internati in manicomi italiani ed esteri. L’approccio lombrosiano a questi materiali, che li considerava sintomi di patologia mentale piuttosto che espressioni artistiche autonome, appare oggi clamorosamente limitativo rispetto alla ricchezza semantica e formale di questi lavori. Il museo ha saputo ricontestualizzare questi disegni, presentandoli non più come curiosità scientifiche ma come testimonianze autentiche della creatività umana che fiorisce anche nelle condizioni di maggiore difficoltà psicologica e sociale.

I graffiti carcerari: cronache murali della reclusione

Tra le collezioni più affascinanti del museo spicca l’incredibile raccolta di graffiti provenienti dalle prigioni italiane, che documenta le forme espressive spontanee sviluppate dai detenuti per lasciare traccia del proprio passaggio nei luoghi di reclusione. Questa sezione della collezione lombrosiana rivela un aspetto inaspettato dell’approccio del criminologo, che riconobbe in queste manifestazioni grafiche una chiave di lettura privilegiata per comprendere la psicologia carceraria.

I graffiti esposti rappresentano un campionario straordinariamente variegato delle tecniche e dei contenuti dell’arte murale carceraria: dalle semplici incisioni nominative fino alle elaborate composizioni figurative, dalla cronaca quotidiana della vita detentiva alle riflessioni esistenziali più profonde.

Le maschere mortuarie

La collezione di maschere mortuarie rappresenta una delle sezioni più inquietanti del patrimonio museale, offrendo ai visitatori un confronto diretto con i volti della morte che Lombroso considerava particolarmente significativi per i suoi studi. Questi calchi in gesso e cera, realizzati subito dopo il decesso secondo una pratica diffusa nell’Ottocento, trasformano la documentazione scientifica in una galleria di ritratti post-mortem di straordinaria intensità espressiva.

La presenza di queste maschere mortuarie trasforma il percorso espositivo in una meditazione sulla morte che trascende le intenzioni dell’antropologia criminale per diventare  riflessione universale sulla condizione umana.

Gli abiti di Giuseppe Versino: moda dall’ombra del Manicomio

Tra le curiosità più sorprendenti del museo Lombroso spicca l’abito realizzato da Giuseppe Versino, internato nell’ Ospedale Psichiatrico di Collegno tra il 1902 e il 1913. Versino, impiegato nelle pulizie, recuperava stracci e tovaglie dismesse per trasformarli in lunghe tuniche annodate a mano, usando una tecnica originale che non prevedeva l’uso di aghi o cuciture. Abiti che potevano arrivare a pesare 40 chili.

Il suo abito più noto, lungo circa 170 centimetri, è caratterizzato da una raffinata combinazione di colori – panna, rosso, marrone, grigio, blu – e da pompon azzurri, grigi e rossi posizionati strategicamente su collo, gomiti e vita. Questa creazione non è solo un capo d’abbigliamento, ma un vero e proprio manifesto di creatività e resistenza estetica: un esempio di come, anche in condizioni di reclusione e marginalità, l’ingegno e il gusto possano dare vita a un’opera d’arte unica.

L’abito di Versino è stato riconosciuto a livello internazionale, esposto anche al Museum Dr. Guislain di Gent, in Belgio, e oggi è conservato sia al Museo Lombroso che al Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università di Torino. Questa duplice collocazione riflette la complessità del suo valore, che va oltre la semplice curiosità e diventa testimonianza di una creatività che sfida le categorie di normalità e follia.

La forca di Torino

Terminata la visita, nel corridoio d’uscita, troviamo uno degli oggetti più emblematici e controversi esposti nel Museo Lombroso: la forca di Torino, ovvero lo strumento che veniva utilizzato fino a metà ottocento per l’esecuzione delle pene capitali.

L’oggetto assume particolare rilevanza perché rappresenta “proprio quella un tempo situata al ‘Rondò della forca‘ la rotonda che ancora oggi si chiama in questo modo. Questa continuità toponomastica stabilisce un legame diretto tra passato e presente, rendendo la forca non solo un reperto museale ma un elemento vivente della memoria cittadina. La presenza fisica dell’oggetto nel museo trasforma la storia in esperienza diretta, permettendo ai visitatori di confrontarsi materialmente con un simbolo di un’epoca in cui la giustizia aveva modalità e significati profondamente diversi da quelli contemporanei.

Dove si trova il Museo Lombroso

Il Museo Lombroso si trova nel quartiere San Salvario, vicino al Parco del Valentino, nel Palazzo degli Istituti Anatomici, in via Pietro Giuria 15.

Per maggiori informazioni visitate il sito del museo

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